Medicina personalizzata: un esempio nella terapia dei tumori

Introduzione

Il sogno di una medicina personalizzata non è nuovo. Da sempre si ritiene che ci si debba prendere cura dell’ammalato e non della malattia, riconoscendo che le malattie sono una semplificazione diagnostica di una situazione eterogenea. Con il tempo e con lo sviluppo delle tecnologie e delle conoscenze, si sono fatti molti tentativi. Ad esempio, la possibilità di misurare le concentrazioni dei farmaci nel sangue ha permesso di stabilire che la stessa dose dello stesso farmaco dava luogo in differenti soggetti a concentrazioni ematiche molto differenti. Ciò ha fatto pensare alla possibilità di cambiare la dose a seconda della concentrazione ematica per personalizzare il trattamento. I cambiamenti di dose hanno permesso di ottenere qualche risultato positivo, ma in realtà si è poi osservato che eguali concentrazioni di farmaco non permettevano di ottenere una omogeneità di effetti terapeutici.
Il passo successivo è stato offerto dalla possibilità di misurare i recettori, cioè i bersagli su cui agiscono i farmaci. Ma i recettori possono essere qualitativamente e quantitativamente differenti in soggetti diversi. Tuttavia, anche queste misure non hanno risolto il problema della personalizzazione, perché il recettore una volta stimolato o inibito ha una lunga cascata di processi biochimici prima di influenzare una funzione. Un altro impulso alle terapie personalizzate è giunto dalle conoscenze della genomica, che hanno fatto ritenere a un Premio Nobel che si potesse eliminare tutta la ricerca sui tumori, perché la conoscenza dei geni coinvolti nella cancerogenesi avrebbe permesso di trovare per ogni paziente portatore di tumore la terapia più adatta. A distanza di 20 anni ciò non è ancora accaduto.

L’eterogeneità di tumori

Proprio il campo dei tumori ci offre una possibilità di constatare quanto sia estesa l’eterogeneità e come questa rischi di essere un boomerang nei confronti della personalizzazione dei trattamenti. L’eterogeneità dei tumori si è sviluppata nel tempo in varie direzioni. Intanto si è osservato che non solo si poteva riconoscere eterogeneità morfologica a seconda dell’organo colpito, ma anche i tumori dello stesso organo potevano differire fra di loro per differenze morfologiche. Ad esempio, nel tumore dell’ovaio si possono riconoscere componenti sarcomatose, fibrose o adenomatose a seconda dei diversi soggetti ma anche nell’ambito dello stesso tumore. L’eterogeneità non è solo morfologica, ma anche recettoriale.
Ad esempio, nel tumore della mammella si distinguono tre gruppi principali: i tumori con recettori per gli estrogeni e i progestinici, i tumori con HER2 la cui presenza comporta una prognosi negativa e i tumori triplamente negativi. Le conoscenze genomiche hanno permesso di frazionare per lo stesso tumore della mammella decine di profili differenti a cui seguono prognosi differenti. Ma l’eterogeneità si manifesta anche nel tumore dello stesso soggetto. Si può osservare, ad esempio, che per il tumore della mammella, HER2 può essere presente nel tumore primario e non essere misurabile nella metastasi o viceversa. Anche le cellule che circolano nel sangue possono avere recettori e profili genomici differenti nel tumore primario e nelle metastasi. Più recentemente l’attenzione è stata rivolta anche a fragmenti di DNA circolanti nel sangue ritenuti più rappresentativi di tutte le localizzazioni tumorali presenti nell’organismo ospite. L’eterogeneità morfologica comporta necessariamente anche un’eterogeneità biochimica. Infatti, un altro problema da affrontare è l’eterogeneità delle cellule tumorali che compongono la massa tumorale. La conseguenza è rappresentata dall’osservazione ormai consolidata che aree diverse dello stesso tumore possono essere più o meno ricche dei recettori su cui devono agire i farmaci antitumorali.

L’eterogeneità dello stroma

Il tumore non è costituito solo da cellule tumorali, ma anche da vasi sanguigni che da un lato sono importanti per veicolare i farmaci, ma dall’altro sono anche il mezzo per la disseminazione delle cellule tumorali. La vascolarizzazione è un altro elemento di eterogeneità perché il fattore di crescita dei vasi (VEGF) condizionato nella sua attività da tutta una serie di altri fattori sinergici o antagonisti, determina nei vari tumori un apporto sanguigno – quindi di ossigeno e di prodotti nutritivi – del tutto diverso. Inoltre la massa tumorale non è costituita solo da cellule tumorali e da vasi sanguigni ma da un’intera popolazione di cellule normali che la infiltrano. Queste cellule non sono indifferenti rispetto alla crescita del tumore. Ad esempio, i macrofagi sono in grado di secernere sostanze chimiche che possono condizionare una maggior crescita tumorale. Esistono nel contesto del tumore vari tipi di linfociti T che, a seconda delle loro caratteristiche, stimolano o inibiscono la proliferazione cancerosa. E ancora, lo stroma tumorale è fatto anche di collagene, materiale fibrotico e altre componenti che contribuiscono in modo diverso a conferire ai tumori un’eterogeneità che deriva da cellule non tumorali.

L’eterogeneità della presenza del farmaco nel tumore

Oltre all’eterogeneità tumorale e stromale esiste un’altra componente rappresentata dalla somministrazione dei farmaci antitumorali. La somministrazione di un farmaco antitumorale determina una serie di passaggi – assorbimento intestinale, trasporto, legami alle proteine, distribuzione negli organi, metabolismo ed escrezione – che sono altamente eterogenei perché variano da soggetto a soggetto in rapporto con le caratteristiche dei geni che esprimono le proteine responsabili del trasporto e del metabolismo dei farmaci. Questa eterogeneità determina alla fine la concentrazione del farmaco nel tumore. E tale concentrazione è molto diversa non solo a seconda del tipo di tumore ma anche nell’ambito dei tumori appartenenti allo stesso organo. Inoltre, anche all’interno del tumore dello stesso soggetto esistono marcate differenze fra la presenza del farmaco nel tumore primario e nelle metastasi. Vecchie ricerche avevano già indicato che in uno stesso tumore la concentrazione del farmaco era molto più alta nella parte superficiale e sempre minore man mano si raggiungeva la parte centrale del tumore. Questa situazione non è eguale per tutti i tumori perché dipende anche dalle caratteristiche della vascolarizzazione e dello stroma. Ricerche che utilizzano tecnologie più recenti che combinano immagini con la spettrometria di massa permettono di stabilire in modo quantitativo la presenza del farmaco nei vari strati del tumore. Se si combina questa eterogeneità con l’eterogeneità dei recettori su cui agisce il farmaco si possono avere aree del tumore dove arriva il farmaco ma non è presente il recettore e aree in cui è presente il recettore ma non arriva il farmaco. Questa è la ragione per cui la risposta dei tumori ai farmaci può essere molto diversa e anche il motivo per cui il tempo per la comparsa della resistenza non è prevedibile. La complicazione aumenta in modo logaritmico considerando
che il trattamento con il farmaco antitumorale altera il profilo genomico del tumore e che normalmente non si utilizza un solo farmaco ma più farmaci contemporaneamente o in sequenza per cui si deve tener conto anche delle interazioni che avvengono fra farmaci.
In conclusione, la complessità, qui descritta in modo sommario, dei sistemi da prendere in considerazione non permette per il momento di realizzare una piena personalizzazione per quanto riguarda la terapia dei tumori.Lo studio dell’eterogeneità inter e intratumorale riguardante le caratteristiche del tumore, dello stroma e della concentrazione dei farmaci rappresenta una base per costruire l’attesa personalizzazione che potrà derivare dall’intensificazione della ricerca multidisciplinare di questi aspetti.


Le nuove frontiere della scienza, della medicina e delle cure.

“La critica delle critiche”


Con questa pretesa, velata dal necessario equilibrio, la Fondazione Tonolli invita i Membri del Comitato Scientifico, e quanti vogliono liberamente partecipare, a riesaminare i problemi clinici più attuali alla luce del metodo clinico ippocratico cioè delle scienza dell'individuale sollecitati da Karl Popper quando ci induce alla critica della ragione mettendoci in guardia sulla “fallibilità” del metodo scientifico. Il problema diviene più complesso quando si vuole, e si deve, tenere conto delle individualità della malattia del singolo malato anche se oggi gli studi di genetica possono, o pretendono, di fare scelte terapeutiche presumibilmente più razionali o personalizzate. Spaziando oltre, ci è sembrato attuale Baltasar Gracian, noto filosofo, gesuita del '600, quando ci raccomanda che: “tutto quello che entra nell'emporio dell'anima per la via dei sensi deve superare il vaglio della ragione, tutto viene esaminato. Questa pondera, giudica, riflette, deduce ed estrae la quintessenza della verità”.
Prof. Giuseppe Riggio, Presidente Fondazione Tonolli

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